Rating di legalità e rating reputazionale nel nuovo Codice degli Appalti
Rating di legalità e rating reputazionale nel nuovo Codice degli Appalti
April 19, 2016 Commenti disabilitati su Rating di legalità e rating reputazionale nel nuovo Codice degli AppaltiIl nuovo Codice degli Appalti Pubblici è legge: 220 articoli per disciplinare in modo organico i contratti di appalto e concessione, aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori ed opere.
Il nuovo codice risponde alle esigenze di semplificazione e snellimento delle norme in materia, e di rispetto del divieto di gold plating, esigenze tutte dettate dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.
Ma evidente nel nuovo codice è anche il legame alla lotta alla corruzione: tante le disposizioni a sostegno della legalità, a cominciare dal potenziamento del ruolo dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), e delle sue funzioni di vigilanza e di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti.
In quest’ottica fanno il loro ingresso nella normativa il rating di legalità e il rating reputazionale.
Il rating di legalità, istituto già introdotto con la Legge 27/2012, finora era premiato con misure di accesso privilegiato ai finanziamenti pubblici e al credito bancario (stabilite dal Decreto 56 del 2014 dei Ministri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico).
Oggi diventa parametro di cui tener conto in sede di accertamento dei requisiti reputazionali alla base del rating di impresa, di cui all’art. 83 co. 10; nonché criterio rilevante ai fini della valutazione dell’offerta in sede di aggiudicazione dell’appalto, ai sensi dell’art. 95 co. 13.
Il rating è accessibile solo dalle aziende operanti nel territorio nazionale ed iscritte nel registro delle imprese da almeno due anni che (da sole o in qualità di imprese appartenente ad un gruppo) abbiano un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno precedente alla richiesta; requisito indispensabile per il riconoscimento del punteggio minimo, pari ad una stella, è l’assenza, nei due anni precedenti, di pronunce di accertamento di illeciti di varia natura, tanto a carico dell’impresa quanto a carico dei suoi apicali.
Il punteggio può giungere fino al massimo di tre stelle laddove l’impresa: adotti processi volti alla cooperazione dell’impresa con le Autorità a fini di contrasto della criminalità organizzata e di reati affini (adesione ai Protocolli di legalità, iscrizione nelle white list); si doti di sistemi di organizzazione e gestione volti alla prevenzione al proprio interno degli illeciti penali (modelli organizzativi ex D.lgs. 231/2001, modelli anticorruzione, sistemi di tracciabilità dei pagamenti); faccia proprie forme di responsabilità sociale, ovvero aderisca a codici etici di autoregolamentazione. Le condizioni per accedere a maggior punteggio sono specificamente elencate nel Regolamento di attuazione del rating di legalità adottato dall’ AGCM del 2012 e attualmente in fase di revisione.
Il rating reputazionale è invece al suo debutto: certificato dall’ANAC, il sistema del rating di impresa è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa. Tali requisiti “tengono conto, in particolare, del rating di legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’AGCM […], nonché dei precedenti comportamentali dell’impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti, all’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto”. Così recita l’art. 83, co. 10, del nuovo codice, che prevede pure che spetterà alla stessa ANAC, entro i prossimi tre mesi, stabilire gli specifici criteri alla base del sistema di penalità e di premialità nei confronti delle imprese richiedenti.
Istituto ben noto al sistema statunitense, il rating reputazionale negli USA è criterio di aggiudicazione della gara, unitamente al rapporto prezzo/qualità. La scelta del legislatore italiano è stata, invece, quella di optare per la collocazione formale del rating di impresa fra i requisiti di qualificazione soggettiva delle imprese, condizioni di ammissione alle gare. La ratio di tale decisione risiede, con tutta probabilità, nella necessità di attenersi agli standard imposti finora a livello europeo: secondo opinione consolidata della Corte di Giustizia dell’UE, infatti, la distinzione tra criteri d’idoneità/”selezione dell’offerente” di natura strettamente soggettiva, e criteri di aggiudicazione/”selezione dell’offerta” di tipo prettamente oggettivo, è rigorosa; e la verifica di idoneità degli offerenti deve essere effettuato dall’amministrazione appaltante in conformità ai criteri di capacità economica, finanziaria e tecnica, fissati in sede normativa.
La necessità di evitare ipotesi di commistione fra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta è stata sottolineata, a livello nazionale interno, oltre che dalla giurisprudenza amministrativa, anche dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2007 (Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1 marzo 2007, recante “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi”), che ha precisato come la stazione appaltante, nell’individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara con gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta.
L’opportunità di tenere ben distinti questi due categorie di requisiti di natura soggettiva e oggettiva è stata sancita, da ultimo, proprio la direttiva comunitaria 24/2014: all’art. 57 e al considerando 101, ipotizzando uno scenario di valutazione delle performance negative che può portare all’esclusione dalla gara ma non può essere utilizzato come elemento di valutazione positiva del fornitore, la direttiva ha sostanzialmente aperto alla possibilità di utilizzare i criteri reputazionali come criteri di selezione degli offerenti ma non come criteri volti ad assegnare loro una premialità.
Insomma: criterio oggettivi di valutazione dell’offerta e/o criterio soggettivo di selezione dell’offerente? Questo il dilemma intorno al quale si giocherà la prevedibile partita della legittimità dell’inserimento, fra i requisiti di valutazione dell’offerta, della figura del rating di legalità (e non solo: ai sensi dell’art. 96, assumono rilievo, come criteri di aggiudicazione, anche le certificazioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori OSHAS 18001 e gli strumenti di agevolazione a favore delle piccole imprese, che criteri tanto oggettivi non paiono).
Per non rischiare che il rating di legalità fosse depotenziato già dal solo rischio di un numero esponenziale di ricorsi, il legislatore pare abbia voluto metterlo “in sicurezza” proponendolo anche tra i requisiti alla base del rating (reputazionale) di impresa, condizione di ammissione alla selezione (novità questa introdotta con un intervento dell’ultima ora di modifica al testo approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo scorso e, dunque, poco più di un mese fa).
La rilevanza attribuita dal nuovo codice degli appalti agli istituti del rating di legalità e del rating reputazionale può, in certo senso, ritenersi il naturale approdo (e punto di ripartenza) di un percorso avviato con l’introduzione nel nostro ordinamento del Decreto Legislativo 231/2001, che ha sancito la cd. responsabilità “amministrativa” degli enti, “sensibilizzando” (il decreto non impone in tal senso obblighi) gli stessi verso la prevenzione dei reati mediante l’adozione di modelli di autoregolamentazione e codici comportamentali. I modelli organizzativi rilevano come fattore di premialità rispetto al rating di legalità, ma possono essere anche l’occasione perché l’impresa impari a reagire ad eventuali illeciti, di qualsivoglia natura, da parte della propria compagine sociale.
Per valutare l’effettiva operatività del rating reputazionale, e la rilevanza del rating di legalità, nell’ambito della nuova disciplina degli appalti pubblici dovremo attendere innanzitutto le Linee Guida dell’ANAC, che come detto, fisseranno i criteri di premialità e tracceranno la strada per gli operatori.
Frattanto riteniamo, però, che l’obiettivo di sensibilizzazione delle imprese verso una maggiore cura della propria reputazione sia stato già parzialmente raggiunto, con l’astratta previsione normativa degli istituti in analisi. In quanto consulenti, pensiamo sia giusto ed opportuno consigliare alle imprese che hanno rapporti con la P.A. di avviare quanto prima un processo di verifica del possesso dei requisiti di accesso al rating di legalità; e di valutare tempestivamente anche un processo di valutazione delle azioni che potrebbero essere intraprese perché l’impresa possa ambire al maggior punteggio possibile.
Confidenti nell’importanza che le nostre competenze potrebbero avere in merito, restiamo a disposizione per ogni ulteriore chiarimento e comunicheremo, attraverso le nostre pubblicazioni i principali aggiornamenti in materia.
Avv. Simona Ventullo